Camminare sulla Storia. Mosaici e pavimenti in marmo nel Foro Romano e del Palatino
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Un nuovo itinerario tra Foro Romano e Palatino, un percorso online che può tradursi facilmente in realtà in occasione di una visita al Parco archeologico del Colosseo e vi farà abbassare lo sguardo per scoprire che cosa state calpestando, per capire in quale edificio e ambiente vi state muovendo, per riconoscere i pavimenti antichi in marmi policromi e in mosaico che decoravano gli edifici pubblici, ma anche e soprattutto le case private e i palazzi. Il percorso spazia dal II-I sec. a.C. fino al VI-VII secolo d.C. ed è utile per imparare a riconoscere le tecniche di decorazione pavimentale presenti nei templi, nelle basiliche civili, nelle domus e nei palazzi. In aggiunta al percorso è disponibile una mappa interattiva agganciata al nostro sistema webGIS per la manutenzione dei mosaici, sulla quale sono disegnati i “poligoni” dei mosaici e dei pavimenti visibili dal nostro pubblico: cliccando su ogni poligono in prossimità di uno di questi, apparirà una scheda che aiuterà a individuare il pavimento e a leggerne un po’ di storia.
Consulta qui la mappa interattiva: https://cdrweb.parcocolosseo.it/
Il percorso è curato da Federica Rinaldi, Alessandro Lugari e Francesca Sposito.
LA CASA DELLE VESTALI
Il percorso parte dalla Casa delle Vestali, situata nel cuore del Foro Romano, dimora delle Vergini Vestali, sacerdotesse dedite al culto della dea Vesta. I rivestimenti pavimentali all’interno della Casa sono collocati sia in ambienti all’aperto, come la corte, sia in spazi chiusi, come la sala di rappresentanza ad est, e abbracciano un lungo periodo cronologico dal I secolo al IV secolo d.C. almeno, testimoniando i numerosi restauri che l’edificio ha conosciuto nel corso del tempo. Nel quartiere in cui insiste la dimora si conserva inoltre anche un importante lacerto di pavimento, tra i più antichi perché ancora di età Repubblicana.
Seguendo il percorso di visita, appena entrati nella corte o giardino della casa, dove sono state recentemente riattivate le vasche, si riconoscono porzioni di un mosaico a tessere nere di basalto, piuttosto grandi e di taglio irregolare, disposte su file parallele.
La fattura grossolana, unita alla conoscenza delle grandi ristrutturazioni documentate nel cortile della casa, consentono di datare il tessellato al III-IV secolo d.C., in epoca costantiniana, insieme al rivestimento in tessellato bicromo dell’ambulacro, che scopriremo lungo il percorso. Il tessellato nero si conserva in 5 porzioni, ma originariamente doveva rivestire l’intero cortile. A seguito del ritrovamento, effettuato da Giacomo Boni nel 1902, i lacerti pavimentali sono stati delimitati da mattoni disposti a coltello e le parti mancanti integrate con malta cementizia. Questi tratti di mosaico sono stati restaurati tra il 2018 e il 2019 e attorno ai loro bordi è stata distribuita della breccia grigio-nera per impedire la ricrescita della vegetazione infestante.
Proseguendo il percorso all’interno della Casa delle Vestali si arriva fino di fronte al grande vano quadrangolare sul lato breve orientale del cortile, rialzato rispetto all’area circostante. L’ingresso dell’ambiente è rivestito da un pavimento a lastre marmoree policrome con disposizione irregolare, di età tardo-imperiale. Scoperto da Giacomo Boni agli inizi del XX secolo, il lastricato è stato inglobato in un massetto in cementizio in epoca moderna, oggetto di continue manutenzioni.
Salendo i pochi gradini che separano il lastricato dal grande ambiente di rappresentanza, che era sontuosamente rivestito da marmi policromi, sia a parete che a terra. Di essi purtroppo oggi non rimangono che esigui frammenti, che rappresentano tuttavia una testimonianza importante dell’originaria decorazione dell’ambiente. Il pavimento è costituito da un opus sectile realizzato con l’uso di marmo portasanta, pavonazzetto, cipollino, breccia corallina e giallo antico, combinati assieme per formare un disegno geometrico con quadrati entro quadrati sulla diagonale e piccole “punte di lancia” sulla diagonale. Il tipo di disegno e la qualità dei marmi datano il pavimento tra il I ed il II secolo d.C.
Il pavimento è stato manomesso già in antico, probabilmente a partire dall’età severiana o comunque dopo il grande incendio del 192 d.C.: i vari tratti conservati infatti non rispettano lo schema decorativo originario, e presentano grandi rappezzi realizzati con lastrame marmoreo. Diversamente dagli altri ambienti della casa, questo pavimento non venne mai indagato da Giacomo Boni, ma fu scoperto dal Lanciani, che lo riportò in luce nel 1884.
Oggi le porzioni di pavimentazione superstiti sono state inglobate in un moderno pavimento in cocciopesto e vengono protette dai nostri restauratori quando le temperature, sia in estate che in inverno, raggiungono un livello di allerta.
Dopo aver passeggiato attorno al cortile della Casa delle Vestali ed aver visitato la nuova esposizione permanente ospitata presso gli ambienti che si aprono lungo il versante meridionale dell’abitazione, la passeggiata prosegue verso l’uscita in direzione del braccio occidentale. Prima di uscire, utilizzando la rampa che supera il dislivello tra la Casa e l’area del Tempio rotondo di Vesta, non si può non notare, in fase con un muro in opera laterizia, una porzione di pavimento a mosaico a tessere nere decorato da un’ampia fascia a tessere bianche. La fattura irregolare delle tessere, molto simili a quelle nere di basalto della corte, assegna il pavimento all’ avanzata età imperiale. Anche questo mosaico rientra tra le scoperte di Giacomo Boni agli inizi del XX secolo, e anche in questo caso, come abbiamo imparato a vedere, il perimetro del pavimento e della sua preparazione, ancora visibile, è stato cordolato da mattoni disposti a coltello. Più recenti e datati al 2018 sono gli interventi di manutenzione condotti dal PArCo nell’ambito della Carta del Rischio dei mosaici e pavimenti marmorei, interventi che hanno ripristinato il livello conservativo del pavimento garantendone l’integrità.
Giunti all’uscita del percorso interno alla Casa delle Vestali, proseguendo lungo la rampa metallica che supera il dislivello con il Tempio rotondo nel lato ovest, guardando proprio al di sotto della rampa è possibile notare un piccolo ma prezioso frammento di mosaico che risale ad una delle prime sistemazioni della Casa, databile ad epoca tardo-repubblicana. Il mosaico è completamente diverso da quelli che abbiamo visto all’interno della Casa e che abbiamo datato alla piena età imperiale: è un tessellato bianco, realizzato con tessere di forma quadrangolare e rettangolare, queste ultime disposte a creare il motivo di una stuoia o di una intelaiatura a canestro. La superficie è impreziosita da inserti di marmi policromi tra i quali si riconoscono l’africano, il cipollino, il porfido verde, il greco scritto. Rinvenuto nel corso degli scavi realizzati da Giacomo Boni agli inizi del Novecento, venne delimitato da mattoni disposti a coltello e le parti mancanti sono state integrate con una malta cementizia rossa. Il motivo delle tessere rettangolari disposte a formare una stuoia impreziosita da frammenti di marmi colorati, è tipico dell’età tardo-repubblicana e dal II-I secolo a.C. si ritrova sul Palatino all’interno della Casa dei Grifi e nella cosiddetta Casa repubblicana accanto alla Scalae Caci. A testimonianza di come anche nell’antichità il gusto fosse assai mutevole a seconda delle mode, questo tipo di mosaico sparisce completamente già a partire dal I secolo d.C.: la moda cambia e il mosaico verrà soppiantato da pavimentazioni marmoree, spesso disposte a formare combinazioni geometriche, come quella vista nella sala di rappresentanza della casa delle Vestali (i cosiddetti sectilia pavimenta). Questo dato è molto importante perché consente agli specialisti di datare in maniera abbastanza puntuale i mosaici con tessere cosiddette a stuoia.
GIUTURNA
Dopo aver ammirato i pavimenti in mosaico e a lastre di marmo policromo della Casa delle Vestali, proseguiamo il percorso verso ovest, in direzione del Campidoglio. Volgendo lo sguardo al di là della transenna metallica accanto al Tempio di Vesta, si nota un lungo corridoio, che in antico serviva alcune tabernae. L’ambiente fa parte del complesso della Fonte di Giuturna, un nucleo di strutture e ambienti gravitanti attorno alla fonte sacra dedicata alla ninfa Giuturna, ubicati tra il Tempio di Vesta e il Tempio dei Castori. Le strutture sono state riportate alla luce nel 1900-1901 da Giacomo Boni e successivamente interessate da saggi di scavo da parte dell’Institutum Romanum Finlandiae tra il 1982 e il 1985. Alla fase finale di utilizzo del complesso, di epoca tardoantica e successiva al trasferimento della statio aquarum dal Campo Marzio al Foro Romano, risale la risistemazione del corridoio che viene per l’occasione pavimentato da un tessellato bicromo con scena marina. Il pavimento si conserva in due porzioni entrambe con immagini figurate. Nella prima porzione si riconosce presso un angolo una roccia, da cui sembrano sporgere porzioni di piante lacustri. Al centro compare un personaggio maschile con copricapo, che stringe nelle mani probabilmente il timone della piroga su cui si trova. Il mare è definito da linee diritte di tessere nere, e si riconosce una rete da pesca, al cui interno si intravede il profilo di un pesce. Davanti al personaggio maschile è parte di una stella, forse la cima di una palma. Nella seconda porzione si conserva una scena marina in cui si distingue il profilo di una roccia, presso cui sta un pesce rivolto verso l’angolo opposto (oppure le fauci spalancate di un ippopotamo che affiora dall’acqua: voi che ne pensate?). Presso l’angolo opposto nuota un pesce di grandi proporzioni. Al centro, su una piroga, si vede una figura maschile, priva della testa, con corporatura atletica, munita di reme. Presso l’angolo chiude la scena la figura di un volatile. Dalla documentazione custodita presso gli Archivi del Parco archeologico del Colosseo il pavimento risulta distaccato nel 1982 per essere poi ricollocato in situ. È attualmente oggetto di interventi di manutenzione. Questo mosaico non costituisce l’unico caso di raffigurazione marina nel panorama musivo del Foro-Palatino.
BASILICA EMILIA
Lasciata la Fonte di Giuturna il percorso prosegue nel cuore del Foro Romano, all’interno di una delle tabernae adiacenti la Basilica Emilia, che chiudono la piazza del Foro lungo il lato settentrionale. La Basilica Emilia venne fatta costruire nel 179 a.C. dai censori Marco Fulvio Nobiliore e Marco Emilio Lepido sui resti di un edificio precedente. Fino al V sec. d.C. la basilica subì numerosi restauri e rifacimenti, l’ultimo dei quali risale alla prima metà del V secolo d.C. resosi necessario a causa dei notevoli danni subiti dalle devastazioni del sacco di Roma del 410 d.C.
La taberna, antistante la Basilica, faceva parte in epoca repubblicana del cuore pulsante del Foro Romano, e in un momento successivo, verso il VI secolo d.C., venne rivestita da una elegante pavimentazione in opus sectile marmoreo realizzato con marmi di reimpiego, sia bianchi, venati e scritti, sia colorati, tra i quali il porfido verde greco, il porfido rosso e il giallo antico. Il rivestimento è stato, in via ipotetica, connesso alla presenza di un insediamento cristiano nel portico antistante la Basilica Emilia e in origine doveva rivestire una superficie di ca. 7,50×5,20 m, di cui se ne conservano quasi i due terzi. Esso presenta al centro un riquadro centrale, campito da un motivo a cerchi intersecantisi, da cui risultano esagoni. Il motivo è bordato da una cornice con scacchiera di rombi di giallo antico e porfido verde greco. Ai lati del riquadro centrale si sviluppano due coppie di pannelli, ognuno dei quali contiene una scacchiera di quadrati di marmo bianco alternato a giallo antico e porfido verde greco, questi ultimi con un quadrato di marmo bianco o giallo antico inscritto diagonalmente. La fascia centrale è racchiusa sui lati anteriore e posteriore da cinque pannelli. I due estremi, agli angoli dell’ambiente, sono rettangolari e si compongono di una lastra in giallo antico circondata da lastrine quadrate e rettangolari in marmi bianchi e venati. Tra i pannelli angolari sono compresi tre riquadri rettangolari, il maggiore dei quali è lungo quanto gli altri due e si affianca ad essi; essi contengono il motivo degli ottagoni affiancati, con quadrati di risulta in porfido verde greco. Questo tipo di pavimento in opus sectile è completamente diverso da quello che abbiamo visto nel tablino della casa delle Vestali, di prima età imperiale. Completamente diversa è la dimensione delle formelle: in epoca tardo antica e poi medievale, infatti, i pavimenti marmorei venivano realizzati recuperando i sectilia pavimenta di epoche precedenti, le cui lastre, fratturate e sconnesse dall’usura e dal tempo, venivano parzialmente riutilizzate e rimodulate in dimensioni più piccole, a ricomporre gli schemi geometrici di epoca imperiale. Il complesso disegno geometrico del pavimento è stato restaurato all’inizio del 1900 da Giacomo Boni con un sistema all’avanguardia che ripropone le parti mancanti con l’uso di mattonelle laterizie di almeno due diverse tonalità cromatiche per riproporre il disegno originario.
A partire dal 2020 il pavimento, che nel secolo precedente era stato coperto da un interro protettivo, è stato riportato interamente alla luce ed oggetto di un esteso intervento di manutenzione straordinaria. L’intervento riguarda l’intera superficie dell’ambiente, sia quella restaurata dal Boni, sia quella originale. Entrambe le zone sono interessate da difetti di adesione degli elementi che compongono la decorazione dalle malte preparatorie. È stato dunque necessario eseguire la rimozione delle lastre dal letto di posa, l’incollaggio degli elementi fratturati, e successivamente il loro riposizionamento. Al termine delle operazioni di ricollocazione, nelle loro posizioni originarie, le lastre sono state pulite e stuccate in superficie. Le aree di lacuna sono state reintegrate con malte idrauliche idonee per granulometria e colorazione.
CURIA IULIA
La Curia Iulia deve il suo nome alle assemblee dei “curiati“, che si svolgevano nel Comizio; qui si affacciava la prima curia di Roma, la Curia Hostilia, edificata secondo la tradizione da Tullo Ostilio, terzo re di Roma. Dopo essere stata danneggiata da un incendio nel 52 a.C. venne restaurata, ma poco dopo Giulio Cesare iniziò i lavori di realizzazione del Foro di Cesare, che interessarono tutta quest’area del Foro. L’edificio che prese il nome di Curia Iulia fu terminato e inaugurato da Augusto il 28 agosto del 29 a.C. Restaurata sotto Domiziano nel 94, subì ulteriori interventi sotto Diocleziano a seguito all’incendio del 283 durante il regno dell’imperatore Carino. Nel 630, durante il pontificato di papa Onorio I, l’edificio venne trasformato in chiesa, assumendo il nome di Sant’Adriano al Foro. La chiesa venne decorata con affreschi bizantini, ancora in parte visibili, e dotata di campanile; fu poi restaurata in stile barocco. Tra il 1930 e il 1936 venne interessata dalla campagna di scavi del Foro e in quell’occasione si decise di riportare l’importante edificio al suo aspetto originario: la chiesa venne sconsacrata e l’edificio spogliato di tutte le aggiunte successive all’epoca dioclezianea.
Il nostro pavimento risale al rifacimento generale della Curia da parte dell’imperatore Diocleziano a seguito dell’incendio del 283 d.C. Il disegno geometrico, redatto con marmi bianchi e policromi, mostra un sistema a schema reticolare con motivi complessi di elementi vegetalizzati in porfido verde greco contenenti al loro interno dischi in porfido rosso alternati a dischi in porfido verde, con foglioline a tre petali presso i quattro angoli. Nei rettangoli dello schema reticolare si sviluppano quadrati di porfido rosso delimitato da una fascia ondulata in pavonazzetto seguita da una fascia in porfido verde. Ai due lati del quadrato si sviluppa un motivo “a cornucopia” in porfido rosso, con foglioline e dettagli in porfido verde.
Il pavimento è uno splendido esemplare di opus sectile di III secolo d.C. e la sua particolarità nella redazione lo rende praticamente un unicum. A seguito degli interventi di ripristino della Curia negli anni Trenta, anche il pavimento è stato oggetto di restauro e ampiamente reintegrato. Presso l’Archivio Fotografico del PArCo sono reperibili numerose fotografie antecedenti il restauro, che mostrano il pavimento lacunoso e conservato per un tratto decisamente più breve rispetto a quello odierno e corrispondente alla schola cantorum della chiesa di Sant’Adriano, che a partire dal VI secolo si insedia nel Senato romano.
GLI HORREA AGRIPPIANA
Gli Horrea Agrippiana sono un complesso di magazzini edificati da Marco Vipsanio Agrippa e che da lui presero il nome. L’edificio, accessibile dal vicus Tuscus lungo il lato nord-occidentale, era originariamente a tre piani. È a pianta rettangolare e presenta tabernae lungo tutti e quattro i lati, affacciate su un cortile centrale.
Al centro della corte si imposta un’edicola centrale con il sacello dedicato al genius horreorum, come documenta l’iscrizione sul piedistallo qui conservato. Il pavimento è in tessellato con raffigurazione del volto del dio Oceano. La prima fase degli Horrea è da comprendere tra il 33 e il 12 a.C., con ristrutturazioni successive documentabili alla fine del II d.C., epoca a cui risale la risistemazione del sacello centrale, e ancora fino al IV-V secolo d.C. Il mosaico a tessere bianche e nere dell’edicola centrale raffigura una maschera maschile inserita entro un ottagono curvilineo i cui vertici sono generati da sei candelabri filiformi e due vasi panciuti. I candelabri a loro volta si sviluppano a partire da elementi vegetalizzati che danno all’insieme un effetto arabescante.
Il punto focale del disegno è il volto maschile al centro della composizione: spiccano le corna e le chele sulla sommità del capo e la folta barba terminante con due teste a forma di pesce. Gli attributi caratterizzano inequivocabilmente il volto come quello del dio Oceano, presentato frontalmente e con fattezze piuttosto giovani. È importante sottolineare che il dio qui è usato senza alcuna relazione con il decoro vegetale del pavimento e quindi con funzione decorativa e di riempimento dell’intero disegno.
Il soggetto non è diffusissimo e compare solo a partire dall’età adrianeo-antonina (seconda metà del II secolo d.C.), sia nella versione in bianco e nero, come qui negli Horrea Agrippiana e in un mosaico di via delle Mura Portuensi a Roma, sia nella versione policroma, come nel celebre esempio della villa di Baccano (tutti esposti al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo), conoscendo ampia attestazione nel corso del III secolo d.C., soprattutto in ambito nord-africano. La sua presenza all’interno del complesso degli Horrea può essere riconducibile al legame con il mare e genericamente con il commercio anche se non sono mancate altre interpretazioni.
IL PAEDAGOGIUM
Lasciati gli Horrea Agrippiana, proseguiamo il percorso lungo le pendici meridionali del colle fino ad arrivare al Paedagogium, un tempo luogo di istruzione per i paggi imperiali ma anche per gli schiavi. Di età domizianea, come confermano i bolli laterizi qui rinvenuti, l’edificio si affaccia sul Circo Massimo. L’edificio, disposto su due livelli che sfruttano la morfologia del pendio del colle, era costituito da due file di stanze separate da un cortile. All’ambiente principale, absidato, non disposto sull’asse centrale, si affiancano nove stanze minori. L’impianto di età flavia fu ampiamente rimaneggiato e alla fase di età severiana (primi decenni del III secolo d.C.) appartengono i mosaici conservati in tre degli ambienti del complesso, tutti geometrici e con impiego di tessere bianche e nere.
Nel primo ambiente da sinistra, ponendosi di fronte all’edificio, si riconosce un mosaico a tessere bianche disposte su file parallele, bordato da tessere nere. Le tessere, piuttosto grossolane, non presentano taglio regolare né identiche dimensioni, determinando una generale irregolarità dell’ordito, in particolare per quanto riguarda i margini del bordo.
Nel secondo ambiente da sinistra, ponendosi di fronte all’edificio, si riconosce un mosaico con composizione di grandi ellissi tangenti che formano quadrati a lati concavi grandi e piccoli.
Nel terzo ambiente da sinistra, ponendosi di fronte all’edificio, si riconosce un altro mosaico geometrico internamente decorato da grandi ellissi campite di tessere nere e quadrati a lati concavi intercalati tra i disegni delle ellissi. L’esiguità della parte conservata non consente di determinare in che modo i vari motivi decorativi si associassero e si alternassero. Il gusto geometrico dei mosaici del Paedagogium è quello tipico di età severiana, quando si assiste ad un’esplosione delle figure geometriche sui mosaici in bianco e nero, spesso di grandi dimensioni, come nel nostro caso. Un mosaico con composizione simile si conserva sempre presso il colle Palatino, ma lungo il suo versante orientale, presso la cosiddetta domus di via di San Gregorio. I mosaici, seppur lacunosi, si trovano in buono stato di conservazione, e dal 2020 sono stati oggetto di un intervento di manutenzione che ha previsto, per i due tessellati geometrici, la predisposizione di graniglia lungo i bordi per impedire la ricrescita della vegetazione infestante e nello stesso tempo per colmare la lacuna con una soluzione cromaticamente affine al disegno originale.
LA SCHOLA PRAECONUM
La Schola Praeconum, complesso che si apre lungo via dei Cerchi, ad est della chiesa di Sant’Anastasia, è stata da poco riaperta al pubblico in alcuni periodi dell’anno. L’edificio fu realizzato in tecnica laterizia in epoca severiana, contestualmente alla generale ristrutturazione del versante meridionale del Palatino. La struttura presenta tre grandi ambienti coperti a volta, il maggiore in posizione centrale, gli altri disposti simmetricamente ai lati, aperti con grandi soglie verso un cortile porticato a pilastri, che metteva in comunicazione la struttura con l’asse viario antistante. Il nome con cui viene convenzionalmente identificato è dovuto all’iconografia del mosaico scoperto da Antonio Muñoz, e alle scene raffigurate sulle pitture dell’ambiente orientale. Il soggetto principale del mosaico è una processione di otto personaggi, divisi in due gruppi, che sfilano sulle pareti opposte dal fondo del vano verso la porta; si tratta di figure maschili vestite di corta tunica, con vessilli, caducei e bastoni, interpretate come araldi o aurighi (praecones) preposti a guidare le processioni circensi. Le tessere presentano dimensioni e taglio irregolare, che consentono di datare il mosaico in età tardo imperiale (III-IV secolo d.C.). Il soggetto e l’iconografia del mosaico non trovano confronti precisi tra le pavimentazioni musive, e potrebbero quindi essere stati creati appositamente per l’ambiente della schola, prendendo in parte spunto dalla decorazione pittorica che ugualmente raffigura una teoria di figure maschili e tenendo conto anche della funzione per il quale l’ambiente stesso veniva utilizzato. Dal 2020 il mosaico è stato interessato da un intervento di restauro che ha previsto la rimozione dell’interro protettivo e delle piante superiori, il trattamento biocida, il consolidamento dei cordoli di contenimento costituiti da mattoni di taglio, il fissaggio delle tessere mobili, la pulizia con impacchi di acqua e di sali solubili di bicarbonato di ammonio. Infine le lacune sono state integrate, con breccia bianca aurora per le parti in bianco e con breccia in basalto per quelle in nero.
LA DOMUS AUREA
Nelle residenze imperiali del Palatino al più “povero” mosaico erano preferiti i preziosi pavimenti a lastre o in opus sectile.
Tra le imponenti rovine dei palazzi imperiali sul colle troviamo ogni genere di marmi policromi, il più delle volte d’importazione. I marmi preferiti dagli imperatori erano quelli nord-africani, come il marmo giallo antico, detto anche numidicum, o il prezioso porfido rosso d’Egitto, ma anche marmi greci come il proconnesio, il porfido verde ed il marmo cipollino, con le sue eleganti venature verdi.
Proprio sul Palatino si trova quello che dagli studiosi del settore è stato definito come il pavimento più bello dell’Antichità, il lussuoso e raffinato opus sectile che doveva rivestire una sala monumentale scandita da portici colonnati della Domus Aurea sul versante del Palatino, la dimora di uno degli imperatori più famosi di sempre, Nerone. Di certo a gusto Nerone non era secondo a nessuno, come ci testimoniano ancora le monumentali architetture della Domus Aurea e le sue decorazioni pittoriche e pavimentali.
L’opus sectile, redatto con marmi policromi quali giallo antico, porfido rosso, serpentino e portasanta, sviluppa un disegno geometrico particolarmente sofisticato e mai più riproposto nell’antichità, con motivi floreali nella zona centrale e lastre listellate sulle fasce. Da notare la raffinatezza dei dettagli in porfido verde e rosso, come le foglioline, i bottoncini al centro degli elementi floreali, i triangoli negli elementi vegetali.
LA DOMUS AUGUSTANA
Il secondo palazzo che ci accingiamo a visitare è la cosiddetta Domus Augustana, che costituiva la parte privata della residenza imperiale. Al contrario della parte pubblica (la Domus Flavia), composta da pochi ambienti di grandi dimensioni, la Domus Augustana era formata da vani piccoli alternati ad ambienti più ampi, tutti disposti intorno a giardini colonnati. I pavimenti meglio conservati si collocano presso un ambiente molto particolare, la cosiddetta aula biabsidata, una sala preceduta da colonne e provvista di due absidi lungo i lati corti, con affaccio scenografico sul cosiddetto Stadio di Domiziano.
Mentre vi godete la vista mozzafiato sullo stadio, attraversate l’area un tempo colonnata, e se puntate gli occhi a terra vi accorgerete di una serie di “isole marmoree”: non sono altro che i resti del pavimento in marmo che doveva originariamente rivestire il portico, composto da lastre rettangolari di pavonazzetto. Entrando nell’aula vera e propria si conservano grandi porzioni di un pavimento a lastre disposte su filari paralleli, tutte in marmo africano. In questo caso, a causa di problemi legati al ristagno di acque, dal 2018 il pavimento è stato interessato da un esteso intervento di manutenzione straordinaria, che ha previsto il restauro dei lacerti marmorei, la ripavimentazione dell’area in cocciopesto e la disposizione di graniglia cromaticamente abbinata alle lastre lungo i bordi. L’aula biabsidata determina la formazione di ambienti di risulta, di forma mistilinea, meglio conservati lungo il lato meridionale, che conservano due eleganti pavimenti in opus sectile marmoreo policromo a schema geometrico (Q3), in cui si riconoscono il portasanta, il pavonazzetto, il giallo antico, il marmo bigio, la breccia e il marmo bianco.
LA DOMUS FLAVIA
Lasciata la maestosa aula biabsidata della Domus Augustana prospiciente lo Stadio Palatino procediamo alla scoperta della Domus Flavia, la parte pubblica della residenza imperiale voluta dall’imperatore Domiziano, su progetto dell’architetto Rabirio.
La Domus era formata da tre serie di ambienti disposti su tre lati di un peristilio rettangolare, circondato da un quadriportico con colonne di marmo numidico e con al centro una fontana ottagonale. Al centro del lato settentrionale si apriva una enorme sala detta Aula Regia, dove l’imperatore, seduto sul trono situato nell’abside semicircolare al lato opposto rispetto all’ingresso, riceveva e dava udienza.
Lungo il lato meridionale del peristilio si apre al centro una vasta sala absidata pavimentata con lastre marmoree policrome e posta sopra un’intercapedine dove nei periodi più freddi dell’anno veniva fatta circolare aria calda, riconosciuta come il triclinio e citata nelle fonti col nome di Coenatio Jovis. Il pavimento è un opus sectile marmoreo policromo in marmi africano, pavonazzetto, giallo antico, portasanta, databile in età tardoantica. Il settore centrale presenta una sequenza di pannelli quadrangolari contenenti alternativamente rettangoli e dischi listellati. L’abside di fondo invece è decorata da uno opus sectile con schema complesso. Del pavimento si segnala la porzione marmorea orientale, profondamente avvallata a causa del dissesto statico delle sottostanti suspensurae, ai lati dell’ambiente, e continuamente oggetto di interventi di restauro. Il vasto peristilio con al centro la fontana ottagonale, di cui ancora si vede la forma, è pavimentato da lastre marmoree rettangolari di marmo proconnesio, relative al primo impianto del palazzo, di età domizianea.
Spostandoci verso nord, in direzione dell’Aula Regia, presso il corridoio della corte centrale si conservano porzioni del rivestimento a lastre di marmo rettangolari, di dimensioni e materiali eterogenei. Parte del lastricato è coperto da due fusti frammentati di colonne scanalate in marmo giallo antico. A causa del continuo ristagno delle acque, dovuto ad un avvallamento nella zona dove insistono i fusti di colonne, si è proceduto alla copertura di una parte del pavimento con breccia cromaticamente abbinata alle superfici pavimentali. Ulteriore breccia è stata disposta attorno alle lastre superstiti del peristilio e del corridoio, a limitare la ricrescita della vegetazione infestante.
Consulta qui la mappa interattiva: https://cdrweb.parcocolosseo.it/
La mappa interattiva è agganciata al nostro sistema webGIS per la manutenzione dei mosaici, sulla quale sono disegnati i “poligoni” dei mosaici e dei pavimenti visibili dal nostro pubblico: cliccando su ogni poligono in prossimità di uno di questi, apparirà una scheda che aiuterà a individuare il pavimento e a leggerne un po’ di storia.