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Il Colosseo romano e cristiano

Attività per

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Il Colosseo è assurto negli ultimi anni a simbolo di riconciliazione e simbolo dei diritti umani. Abbiamo per questo inteso dedicargli un percorso tematico alla luce delle numerose testimonianze cristiane che ancora oggi l’Anfiteatro Flavio conserva. Una fase di vita del monumento meno nota, ma molto più duratura rispetto a quella di epoca romana, che raccontiamo a partire dal contributo a firma di Federica RinaldiLa cristianizzazione del Colosseo, un percorso in 14 tappe nel tempo e nello spazio” facente parte del volume “Gerusalemme al Colosseo. Il dipinto ritrovato“, a cura di Alfonsina Russo e Federica Rinaldi, edito da Electa editore.

Alzi la mano chi ha mai visto questo stemma.
Rappresenta il San Salvatore, risale agli anni tra il 1386 e il 1397 e compare in due esemplari scolpiti sul fornice LXIII e sul fornice orientale del Colosseo. Cosa ci fa lì e cosa significa?
È quanto resta, insieme ad alcuni stemmi dipinti, delle attività della Confraternita laica del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum che a partire dal 1386 divise la proprietà del più grande anfiteatro dell’ormai lontana antichità con la Camera Apostolica e il Senato di Roma.
Proprio così: il monumento fu riutilizzato in varie forme e diviso tra differenti realtà per secoli.
In particolare la Confraternita, formata dai membri delle maggiori famiglie romane, si occupò di garantire l’ordine pubblico in quella zona parecchio turbolenta e gestì anche un ospedale rimasto in uso fino al 1815.

Uno stemma scolpito con immagine del busto nimbato del San Salvatore compreso tra due fiaccole si trova sul fornice LXIII (lato occidentale del Colosseo) e sul fornice Est

Sul fornice LXV (lato occidentale del Colosseo) è ancora oggi presente uno stemma dipinto tripartito che si compone di tre immagini, realizzato tra il 1386 e il 1397. Al centro si riconosce il busto nimbato del S.S. Salvatore tra due fiaccole; a destra è dipinto lo scudo del Senato Capitolino, come sembra intuibile dal colore rosso e ocra, dalla corona e dalle tracce di una “R”, da ricondurre alla sigla “SPQR”; a sinistra, ma non più leggibile, era probabilmente dipinta la targa della Camera Apostolica. I tre stemmi indicano la tripartizione dell’uso dell’Anfiteatro nel corso del XIV secolo.

 

C’ERA UNA VOLTA (E C’È ANCORA OGGI) UNA PICCOLA CHIESA NEL COLOSSEO

“Ma davvero c’è una chiesa nell’Anfiteatro?”
È una domanda che ci sentiamo rivolgere di frequente, sui nostri canali digitali ma anche dal vivo dai visitatori che ogni giorno percorrono gli ambulacri del monumento.
Sì, in effetti nel Colosseo c’è una piccola chiesa che, in linea con la storia del luogo, è il risultato di mutamenti ed evoluzioni intervenuti nel corso dei secoli. Si trova oggi al pian terreno nel terzo ambulacro del settore nord-est, cioè nella zona nord orientale dell’Anfiteatro, lì dove si alternano magazzini e depositi nelle immediate vicinanze dell’arena, ma quella non è sempre stata la sua posizione. In quel luogo fu spostata dopo il 1827 ma le strutture murarie che il 26 aprile 1517, al tempo di papa Leone X, vennero riutilizzate per costruire una cappella con un altare si trovavano nei pressi dell’arco di ingresso orientale che guarda verso il Laterano. Esse furono concesse dall’antica Confraternita del San Salvatore, detentrice della proprietà, alla Compagnia del Gonfalone che fin dal 1490 si occupava di allestire nel Colosseo sacre rappresentazioni della passione e della morte di Cristo. Dal 1622, dopo un restauro testimoniato da un’iscrizione marmorea che ancora oggi conserviamo al suo interno, la cappella venne intitolata alla Madonna della Santissima Pietà.
Ne conosciamo l’aspetto grazie a numerose opere pittoriche che ce ne hanno tramandato il ricordo; tra esse vi proponiamo una veduta che l’artista danese Christoffer Wilhelm Eckersberg dipinse tra il 1815 e il 1816.
Ma come si è giunti alla costruzione di una piccola chiesa nel più grande edificio per spettacoli dell’antichità? L’analisi delle fonti scritte ci consente di riscontrare, a partire dalla fine del Quattrocento, una progressiva trasformazione del Colosseo in un luogo devozionale. Si tratta di un lungo percorso che culminerà tra la fine del Seicento e i primi anni del Settecento con l’ipotesi di riqualificare il monumento con l’edificazione di una grande chiesa dedicata a quei martiri che, secondo la tradizione, avrebbero trovato la morte sull’arena.
Il progetto di questo edificio sacro non fu mai realizzato ma restano numerosi progetti grafici. La cappella della Madonna della Santissima Pietà, invece, è ancora in piedi e vi officia messa il Circolo San Pietro, sodalizio che gestisce diverse Opere al servizio dei bisognosi.

Christoffer Wilhelm Eckersberg, veduta dell’interno del Colosseo (1815-1816). Thorvaldsen Museum Copenaghen

Cappella della Madonna della Santissima Pietà all’interno del Colosseo

 

 

 

STEMMI E GRAFFITI TRA SACRO E PROFANO

Osservando le superfici delle poderose mura dell’Anfiteatro Flavio si scorgono con facilità incisioni e segni lasciati nella pietra dai visitatori negli ultimi secoli, forse con la speranza di rendere eterni come il Colosseo il proprio nome e il proprio passaggio. La pratica di incidere o di scrivere sul travertino è oggi del tutto proibita e procura ai suoi autori, più che il ricordo tramandato nel futuro, una denuncia e una multa ben radicate nel presente.
Visitando il monumento e prestando un po’ di attenzione si possono cogliere sui muri altri intagli ben riconoscibili che è appropriato identificare come stemmi e graffiti praticati in diversi momenti a partire probabilmente dal Medioevo. Gli stemmi finora rinvenuti sono 3, realizzati nel 1540, e si trovano tutti lungo la galleria perimetrale interna del II ordine. Si riferiscono ad altrettante famiglie che dovevano far parte della Confraternita del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum svolgendo compiti assistenziali e gestendo anche un ospedale tra gli ambulacri ormai inutilizzati: Paparoni, Della Vetera o Della Vecchia e Paloni.
Spostando invece lo sguardo un po’ più in alto, diciamo oltre i 3 metri di altezza, è possibile distinguere in vari punti del monumento anche croci, falli e date simboliche come il 1675 (data molto probabilmente riferita a un Giubileo). Le croci possono essere ricondotte all’ormai avviata lettura dello spazio in chiave di luogo di culto; i secondi potrebbero far riferimento alla oscura nomea guadagnatasi dal Colosseo quale territorio di dissolutezza e perversione, infestato da demoni e frequentato da negromanti e personaggi poco chiari (e sicuramente non graditi a Santa Romana Chiesa). Non a caso sembra derivi proprio dall’abitudine di utilizzare i fornici quale luogo di pratiche sessuali il verbo “fornicare”.
La mappatura completa di questi graffiti si trova in “Rota Colisei. La valle dell’Colosseo attraverso i secoli”, a cura di Rossella Rea, Milano 2002.

Croce graffita

Fallo graffito

 

 

IL DIPINTO DI GERUSALEMME

Qualora vi troviate a percorrere il passaggio della Porta Triumphalis, l’ingresso dell’Anfiteatro rivolto per intenderci verso ovest, ossia verso il Tempio di Venere e Roma, vi suggeriamo di sollevare lo sguardo e prestare attenzione ai segni e alle incisioni sparsi sulle mura del Colosseo.
Nella lunetta superiore della Porta Trionfale, esattamente sul fornice ovest da dove, in età romana, entravano le pompae cioè le processioni dei gladiatori, si trova un dipinto murale collocato a circa 8 metri di altezza dal suolo che rappresenta la veduta ideale di Gerusalemme. Il prototipo iconografico è stato riconosciuto in una stampa unita al volumetto del teologo Christian van Adrichom di DelftUrbis Hierosolimae Quemadmodum Ea Christi tempore floruit” (1585). Dalla stampa del 1585 derivano una serie di varianti realizzate sia su tela o ad affresco, sia a stampa, la più prossima delle quali al dipinto murale del Colosseo è una stampa di Antonio Tempesta del 1601 conservata all’Albertina di Vienna. Nel dipinto, oltre alla veduta della città murata di Gerusalemme, compaiono una serie di scene di varia natura e periodo storico, raffiguranti le sconfitte dei filistei, l’accampamento dell’esercito di Pompeo nella guerra giudaica del 63 a.C., la crocifissione di Gesù e alcune raffigurazioni di martiri.
Al termine di un accurato restauro e di una nuova analisi dal punto di vista storico artistico, recentemente compiuti, si è proposto di collocare la commissione del dipinto nel XVII secolo in un momento di particolare fervore religioso. In questo senso potrebbe quindi inserirsi la rinnovata interpretazione del Colosseo, sede ormai stabile di processioni devozionali dei pellegrini dirette verso il palco allestito dall’Arciconfraternita del Gonfalone presso la Cappella della Pietà.
Alla normale osservazione dal basso del dipinto abbiamo pensato di aggiungere una lettura multimediale che s’inserisce nella visita guidata serale “La Luna sul Colosseo”, attiva dall’estate a fine dicembre ogni giovedì, venerdì e sabato. L’installazione multimediale, ideata e curata dal Parco archeologico del Colosseo (Stefano Borghini, Paolo Castellani, Elisa Cella, Barbara Nazzaro, Angelica Pujia, Federica Rinaldi) in collaborazione con Electa e realizzata da Karmachina, esalta i temi e i soggetti raffigurati nello straordinario dipinto di Gerusalemme, testimone della funzione storica e simbolica del Colosseo e della sua dimensione universale. La narrazione è accompagnata, di giorno, da un’esperienza multisensoriale che si avvale di un audio immersivo spazializzato che racconta il dipinto attraverso la messa in luce delle scene principali e la proiezione di didascalie descrittive; di sera è invece amplificata da una suggestione sonora realizzata rivisitando la struttura e i suoni degli strumenti dell’antica Roma con timbriche elettroniche contemporanee.

La video installazione multimediale dedicata al dipinto di Gerusalemme

 

 

LA CHIESA DISEGNATA E MAI REALIZZATA

Di una piccola chiesa costruita all’interno del Colosseo abbiamo parlato in precedenza descrivendo la cappella con altare che apparteneva alla Confraternita del Gonfalone e presso la quale, sin dalla fine del Quattrocento, terminavano le sacre rappresentazioni o le processioni del Venerdì Santo. Per ben due volte nel corso dei secoli sono stati avanzati progetti per l’edificazione di una grande chiesa nell’Anfiteatro, naufragati entrambi.
L’idea di glorificare la memoria dei martiri uccisi, secondo la tradizione, nel Colosseo e di conferire quindi definitivamente al luogo un preciso carattere confessionale fu promossa e portata avanti con una certa decisione dal padre teatino Carlo de’ Tomasi che, negli anni immediatamente vicini al Giubileo del 1675, convinse il papa Clemente X ad affidarne la realizzazione a Gian Lorenzo Bernini. Il progetto, pur agendo nel pieno rispetto dell’architettura del monumento, prevedeva la chiusura di tutti gli ingressi ad eccezione di quelli in grado di condurre sul piano dell’arena, vero luogo sacro ai martiri, nonché l’allestimento di una facciata monumentale alle due estremità dell’Anfiteatro e la realizzazione di un tempietto circolare nell’arena. Le pietre tombali dell’abate de’ Tomasi prima e di papa Clemente X poi sancirono la conclusione delle vite terrene dei religiosi e delle possibilità di compimento del progetto berniniano. Ci fu tempo solo per concludere la chiusura delle arcate inferiori e dipingere due solenni iscrizioni sulle arcate a est e a ovest, commemoranti l’avvenuta consacrazione del Colosseo alla memoria dei martiri.
Qualche anno più tardi, in previsione dell’Anno Santo del 1700, un secondo progetto ancor più imponente vide scaturire dall’ingegnoso talento dell’architetto Carlo Fontana l’idea di una maestosa chiesa a pianta circolare, coperta da una cupola alta quanto l’attico del Colosseo, inquadrata da un portico colonnato con 40 arcate disposto lungo l’ovale dell’arena e preceduta da una fontana circolare sorretta dalle allegorie di Fede, Fortezza, Costanza e Amor di Dio. L’edificio non fu mai realizzato per un devastante terremoto che colpì il centro Italia nel 1701 e costrinse il Papa a impiegare tutti i fondi disponibili per la ricostruzione.
Se questi progetti fossero stati tradotti in realtà la nostra percezione dello spazio monumentale e la conoscenza dell’architettura e delle funzioni dell’Anfiteatro Flavio sarebbero oggi del tutto differenti (non sarebbero stati eseguiti, ad esempio, gli sterri dei sotterranei che così tante informazioni ci hanno fornito sulla vita antica e moderna del Colosseo).
Possiamo però avere un’idea dell’impatto e dell’aspetto della chiesa di Fontana, oltre che dai disegni pervenutici, grazie al plastico ricostruttivo in scala 1:200 che abbiamo esposto al II ordine nell’allestimento permanente del Museo del Colosseo.

Plastico ricostruttivo del progetto di Carlo Fontana in scala 1:200 esposto al II ordine dell’Anfiteatro Flavio nell’allestimento permanente del Museo del Colosseo

Progetti di Carlo Fontana per una chiesa nel Colosseo

 

LE EDICOLE E LA TRADIZIONE DELLA VIA CRUCIS

C’è stato un tempo in cui si poteva entrare all’interno del Colosseo, raggiungere il centro dell’arena, che per via delle stratificazioni susseguitesi nei secoli doveva trovarsi ben più in alto dell’antica quota originaria, e ritrovarsi circondati da 14 edicole, ovvero piccole cappelle per custodire immagini sacre costituite per lo più da due colonne con sovrapposto un frontone. Le edicole (da aedicula cioè “tempietto”, diminutivo di di aedes ovvero “tempio, casa del dio”) erano state collocate nel 1749 lungo il perimetro interno dell’Anfiteatro per iniziativa del religioso Leonardo da Porto Maurizio e su progetto del senese Paolo Posi, compiendo la volontà di papa Benedetto XIV di completare l’opera in occasione del Giubileo del 1750. Oltre che luogo di preghiera spontanea erano elementi funzionali per le processioni e le rappresentazioni della passione e della morte di Cristo che si svolgevano tradizionalmente nel Colosseo, gestite dalla Arciconfraternita degli Amanti di Gesù e Maria al Calvario, almeno fino a quando nei primi anni dell’Ottocento la dominazione francese non interruppe provvisoriamente il potere temporale papale. In un breve lasso di tempo durato circa cinque anni le strutture furono isolate per consentire l’avvio degli sterri dei sotterranei e dell’arena per essere ripristinate dopo la caduta di Napoleone dall’architetto Giuseppe Camporese e poi definitivamente messe da parte nel 1874 per consentire gli scavi in estensione diretti da Pietro Rosa. Molti dei frammenti appartenenti originariamente alle edicole sono conservati e depositati nei cunei di alcuni fornici del Colosseo: si tratta in prevalenza dei frammenti dei timpani arcuati e di altre porzioni, mentre le colonnine si trovano invece nei depositi del Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano. Proprio per questo è stato possibile nel 2017 recuperare alcuni dei travertini originari dallo stesso Rosa accuratamente conservati e ripristinare una sola edicola che si trova oggi sul lato nord dell’arena.

Edicola della via Crucis ricostruita nell’arena del Colosseo nel 2016

Stampa all’albumina di Gioacchino Altobelli e Pompeo Molins, 1860

 

DUE CROCI, UN’UNICA STORIA DAL 1750 AL 2000

Sul limite nord dell’arena del Colosseo, nei pressi della edicola ricostruita nel 2016 si trova oggi una grande croce in metallo che dopo anni di oblio è stata ricollocata nel monumento in occasione del Giubileo dell’anno 2000. Il suo “debutto” nell’Anfiteatro Flavio risale però a molti anni prima, esattamente al 24 ottobre del 1926 quando, nell’ambito degli interventi promossi dal regime fascista, andò a sostituire una precedente croce in legno sistemata nel 1750 al centro dell’arena per volontà di papa Benedetto XIV.
In virtù della sua posizione la precedente croce in legno, alta più di 4 metri, è ben visibile in numerose stampe e olii su tela del Settecento e dell’Ottocento in cui è rappresentata come elemento cardine dello scenario ove rimase, custodita dall’Arciconfraternita degli Amanti di Gesù e Maria al Calvario, fino al 1874.
In quell’anno, infatti, fu rimossa per consentire l’avvio delle campagne di scavo archeologico per lo studio degli ipogei e della struttura architettonica del monumento. Dal 1937 è custodita presso la Chiesa di S. Gregorio Magno dei Muratori in Campo Marzio.
Una nuova croce in metallo fu “trionfalmente” collocata sul margine dell’arena appunto nel 1926, come è documentato in un filmato dell’Archivio Luce, intitolato “Il ritorno della Croce al Colosseo”, riprodotto nell’esposizione permanente “Il Colosseo si racconta” al II ordine dell’Anfiteatro. La croce posava su un basamento di travertino dove erano 4 iscrizioni: una di queste, conservata solo in frammenti perché intenzionalmente distrutta in quanto contenente il nome di Mussolini, ugualmente visibile nell’esposizione permanente, ricorda che la nuova croce prende il posto di quella vecchia “religiosamente collocata nell’Anfiteatro Flavio nell’anno del Giubileo del 1750”, grazie al contributo degli amministratori dello stato e della città “anno Domini MCMXXVI”. In occasione del Giubileo del 2000 la croce fu definitivamente collocata dove oggi si trova.

TUTTI I PAPI DEL COLOSSEO

Nella storia millenaria del Colosseo un lungo capitolo è certamente dedicato al racconto del rapporto tra i pontefici e il grande Anfiteatro. Una relazione controversa se pensiamo che già nel 1244 Innocenzo IV affermava che la proprietà dell’area spettasse alla Santa Sede e che alla metà del Quattrocento papa Eugenio IV, pur sostenendo che non fosse opportuno depredare i monumenti, concedeva che fossero sottratte pietre e materiali da costruzione per edificare la tribuna della basilica di San Giovanni in Laterano.
Per non dire, poi, del suo successore Niccolò V che fece trasportare ingenti quantità di materiali dal Colosseo al Vaticano, questa volta per sostenere la fabbrica di San Pietro.
Il rapporto contraddittorio proseguì ancora per tutto il Cinquecento quando, si può affermare con una battuta, l’anfiteatro riuscì a scampare alla furia di Pio V e di Sisto V che intendevano, rispettivamente, abbatterlo o riutilizzarlo come filanda.
Abbiamo già detto dei progetti di costruzione di una chiesa all’interno dell’arena, definitivamente abbandonati all’inizio del Settecento, ma fu solo grazie alla consacrazione alla memoria dei martiri che la storia del Colosseo e della sua conservazione presero definitivamente un’altra strada: quella che lo ha condotto fino a noi.
Fu in primis Benedetto XIV a dichiararlo “chiesa pubblica” nel 1756, dopo aver sistemato 6 anni prima la grande iscrizione che ancora oggi si trova sul fronte occidentale del monumento a ricordarne proprio la consacrazione.
Nell’Ottocento si assistette alla grande svolta, quando Pio VII tra il 1806 e il 1820 fece realizzare i primi grandi lavori che portarono alla costruzione dello sperone Stern (dal nome dell’architetto Raffaele Stern) che sorregge il Colosseo sul lato orientale. Anche questo intervento è testimoniato da una targa in marmo ben visibile da via Labicana. Nel 1823 altri interventi commissionati da Leone XII sulla parte occidentale del monumento garantirono maggiore stabilità con la realizzazione di un contrafforte, uno sperone di mattoni, con base in travertino, costruito secondo un modello piramidale dall’architetto Luigi Maria Valadier.
E sarà infine Gregorio XVI ad affidare nel 1845 un nuovo intervento a Gaspare Salvi per la ricostruzione in mattoni di sette arcate del I ordine e otto del II ordine lungo il fronte meridionale. L’ultimo intervento ricordato da una targa marmorea, quella posta al di sopra dell’attuale ingresso e datata 1852, è di Luigi Canina.
Col pontificato di Pio IX si chiuse la storia degli interventi dei pontefici sulla città di Roma e sul Colosseo e, con l’annessione di Roma al Regno d’Italia, la competenza sui monumenti passò alla Regia Soprintendenza agli Scavi delle Antichità.
I pontefici tornarono a calcare le pietre dell’Anfiteatro solo molto più tardi, negli anni Sessanta del Novecento, rinnovando la antica tradizione della via Crucis del Venerdì Santo e vestendola di nuovi significati, anche mediatici. Da Paolo VI in poi tutti i papi hanno visitato e officiato cerimonie religiose nel Colosseo.
Papa Francesco, per varie circostanze, non aveva avuto modo di seguire le orme dei suoi predecessori almeno fino al 25 ottobre 2022 quando ha guidato, alla presenza dei rappresentanti delle Chiese e delle Comunità cristiane, un momento di preghiera per l’Ucraina e gli altri conflitti del mondo, nel XXXVI incontro internazionale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nello spirito di Assisi.